sabato 26 marzo 2022

Una gita tra i fossili: il passato torna a parlare

 


Ci sono esperienze che non hanno bisogno di essere spiegate.

La nostra visita alla mostra di fossili è stata un viaggio improvviso indietro nel tempo, in cui milioni di anni si sono fatti minuscoli e vicinissimi, quasi a portata di mano.

Appena entrati, i bambini si sono precipitati davanti alle teche come se stessero scoprendo un tesoro segreto. Piccoli ammoniti, resti di antichi pesci, impronte di organismi scomparsi da ere geologiche… ognuno raccontava una storia che sembrava impossibile contenere in un pezzo di pietra.



lo stupore è stato talmente sincero che sono sorte le prime domande: Come camminava? Cosa mangiava? Come faceva a sopravvivere?

Poi siamo passati alla mappa interattiva: la luce che seguiva il percorso delle montagne, delle valli e dei fiumi ci ha ipnotizzati. Era come vedere la Terra respirare.


E subito dopo, di nuovo davanti ai blocchi di roccia, a indicare con sicurezza minuscoli dettagli che solo i bambini riuscivano a scovare.

 

È incredibile quanto i bambini sappiano accendere la curiosità dell’adulto.
Con le loro domande, a volte ingenue e a volte geniali, mi ricordano sempre che la conoscenza non è mai lineare: è un saltare continuo, un collegare, un immaginare, un meravigliarsi.

Questa gita è stata proprio quello di cui avevamo bisogno: un’occasione per rallentare, osservare e lasciarci sorprendere. Mentre ci muovevamo tra quei reperti antichissimi, sembrava quasi che il passato ci camminasse accanto, senza pretese, semplicemente presente.

E, tornando a casa, guardando mio figlio raccontare con entusiasmo ciò che aveva scoperto, ho visto nei suoi occhi quella luce speciale: la sensazione che il mondo sia pieno di misteri ancora da incontrare e domande a cui dare forma.

Perché, alla fine, ogni fossile è un frammento di storia che ci raggiunge da lontano… e lui, quel messaggio, l’ha sentito forte e chiaro.


lunedì 21 marzo 2022

Giappone: quando una cultura lontana ti costringe a guardare con occhi nuovi

 

Ci sono culture che non visiti, ma ti attraversano.
Il Giappone è una di queste.

Non assomiglia a nulla di ciò che conosciamo. Non cerca di piacerti, non si spiega, non si traduce. Pretende attenzione.
Chiede lentezza.
Ti obbliga a fermarti e a guardare.

Ed è stato questo il regalo più grande della mostra che abbiamo visitato.


L’arte che nasce dal quotidiano

Davanti alle ceramiche giapponesi abbiamo capito una cosa semplice e spiazzante: per loro la bellezza non è un’aggiunta, è un’abitudine.

Un vaso non deve stupire.
Deve servire.
E servendo, diventa bello.

Una lezione che rovescia il nostro modo di pensare: noi insegniamo ai bambini a “decorare”; il Giappone insegna che ogni gesto quotidiano contiene già la propria estetica.


 Le maschere: emozioni scolpite, non nascoste

I bambini si sono fermati davanti alle maschere. Alcune severe, altre buffe, altre spaventose.

Non erano “travestimenti”. Erano caratteri, ruoli, mondi interiori trasformati in materia.

Per un attimo ho pensato che fossero un esercizio di sincerità: dare una forma visibile a ciò che normalmente nascondiamo.

E i bambini, senza sapere nulla, lo hanno sentito. Le guardavano come si guarda qualcuno negli occhi.

 

Anche il kimono antico, sospeso a mezz’aria, sembrava più un manoscritto che un capo d’abbigliamento. Ogni tratto un ricordo.
Ogni piega una traccia di chi l’ha indossato.


È strano come altri popoli riescano a fare ciò che noi abbiamo dimenticato: trasformare un oggetto in un rito.


La grande tela calligrafica ha ipnotizzato i bambini. Nessuno di noi sapeva leggere quei segni. Eppure tutti li percepivamo.

È la scrittura che diventa gesto, il gesto che diventa ritmo, il ritmo che diventa meditazione.

In quel momento è stato chiarissimo: non serve capire una lingua per sentirne la verità.


Ci portiamo a casa un altro modo di guardare:

che la semplicità può essere raffinata
che gli oggetti hanno una dignità
che le emozioni possono essere scolpite
che la bellezza più potente è quella che non chiede attenzione.