Halloween per noi non è mai stato solo una sera in maschera.
È più un percorso che inizia prima, lentamente, come succede con le cose che vale la pena assaporare.
Tutto è cominciato in un campo di zucche.
File ordinate di arancioni imperfetti, verdi polverosi, forme storte e pesanti appoggiate sulla terra secca. C’era chi spingeva una carriola troppo grande per il carico scelto, chi osservava le dimensioni con aria seria, chi faceva domande su semi, stagioni, tempo e pazienza. La spiegazione sulla coltivazione è arrivata semplice, concreta, senza effetti speciali: la terra, l’attesa, il ritmo delle stagioni. Ed è bastato.
La zucca scelta è poi entrata in casa come un piccolo trofeo.
Intagliarla è sempre un rito: il disegno prima, le mani che affondano, i semi che scivolano via, l’odore umido che resta sulle dita. Non serve che sia perfetta. Serve che sia nostra. Una faccia un po’ storta, un sorriso sbilenco, la luce che da dentro cambia tutto.
Halloween affonda le sue radici molto lontano da come lo vediamo oggi.
Nasce da Samhain, una festa antica dei Celti che segnava la fine dell’estate e l’inizio della stagione buia. Un tempo di passaggio, in cui il confine tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti si faceva più sottile. Non c’era paura, ma rispetto. Non c’era horror, ma ascolto. La notte diventava un luogo da attraversare, non da evitare.
Forse è per questo che questa festa, se vissuta con calma, ha qualcosa di profondamente affascinante.
E poi arriva la sera.
Le luci si abbassano, compaiono ragni finti, candele tremolanti, teschi di plastica e risate vere. Mostri improvvisati, fantasmi un po’ stropicciati, amici che bussano, mani piene di dolci e occhi che brillano più delle decorazioni. La paura diventa gioco, il buio diventa racconto condiviso.
Halloween passa così, tra terra e immaginazione, tra antiche storie e momenti semplici.
Una zucca scavata, una tavola apparecchiata, una notte che non fa più paura.
E alla fine resta quella sensazione sottile:
aver dato spazio a qualcosa di antico, senza accorgersene troppo.
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