lunedì 31 marzo 2025

Safari Urbano. Milano come non l’avevamo mai guardata


Milano, a volte, cambia passo se qualcuno ti invita a rallentare lo sguardo.

Non a guardare di più, ma a guardare meglio.

Questa gita è stata così: un vero safari urbano, guidato da una presenza capace di mescolare ironia, competenza e gioco. Ci siamo mossi tra luoghi famosissimi, quelli che pensiamo di conoscere a memoria, eppure ogni tappa apriva una crepa nelle certezze. Un dettaglio nascosto, una storia laterale, un simbolo che non avevamo mai collegato a nulla.


Camminare è diventato cercare.

Cercare segni sulle mura, forme scolpite, particolari che di solito passano inosservati. Travestiti da cavalieri, armati di curiosità più che di mappe, ci siamo lasciati guidare come in una caccia al tesoro: una fontana che non smette mai di scorrere, il “drago verde” di Milano, non per spreco, ma per mantenere vivi e puliti i suoi canali sotterranei; stemmi che raccontano potere, animali simbolici, storie che si intrecciano tra pietra e acqua.

 

 


A un certo punto la città non era più solo sfondo, ma interlocutrice.

Milano parlava attraverso i suoi muri, le sue torri, le sue fontanelle. E bastava poco: una domanda fatta al momento giusto, un invito ad avvicinarsi, a toccare, a immaginare.

C’è qualcosa di molto potente in questo modo di stare nello spazio urbano. Non si tratta di “imparare” nel senso classico, ma di fare esperienza. Di permettere alla meraviglia di entrare senza forzarla. Di lasciare che il gioco apra porte che la spiegazione, da sola, spesso tiene chiuse.



venerdì 28 marzo 2025

Apprendisti scultori, tra gesso e immaginazione

Anche questo mese le Gallerie d’Italia sono diventate un luogo da abitare con lentezza. Sale ampie, silenzi che parlano, opere che non chiedono di essere spiegate subito ma osservate, sentite, attraversate.


Il tema era quello degli apprendisti scultori. Un invito semplice e potente: entrare nel mestiere, prima ancora che nell’opera finita. Scoprire che dietro il marmo perfetto c’è un lungo dialogo fatto di tentativi, errori, mani che provano. Proprio come facevano gli scultori di un tempo, che lavoravano prima il gesso, studiavano le forme, sperimentavano volumi, e solo dopo affrontavano la materia definitiva.


Camminando tra le sale, lo sguardo si è posato sui dettagli: un gesto appena accennato, una piega, una superficie non del tutto levigata. È lì che si intuisce il lavoro, il pensiero che precede la forma. Ed è lì che l’arte diventa accessibile, vicina, possibile.


Poi il laboratorio. Tavoli condivisi, materiali semplici, mani curiose. Il gesso come materia di passaggio: morbido, trasformabile, pronto a prendere forma senza pretendere perfezione. Le formine nascono una alla volta, ognuna diversa, ognuna giusta così. Non copie, ma prove. Come in bottega.


C’è qualcosa di profondamente educativo in questo gesto antico: fare prima una prova, concedersi di sperimentare. Non per arrivare subito al risultato, ma per capire il processo. Per sentire che creare è anche ascoltare la materia, accettare i tempi, lasciare spazio all’immaginazione.

Si esce da qui con le mani un po’ sporche e la testa piena di immagini. E con un’idea che resta: l’arte non è solo ciò che si guarda, ma ciò che si fa. Anche quando è imperfetto, anche quando è solo un primo tentativo.

mercoledì 19 marzo 2025

Sulle altezze del Duomo

Milano, vista da quassù, cambia voce. Non è più solo rumore e movimento: diventa pietra, cielo, dettagli che chiedono tempo e fanno vibrare le cellule.

Entrare nel Duomo e poi salire sulle terrazze è stato uno di quegli incontri che sorprendono anche chi pensa di conoscere già un luogo. E invece no. Perché da vicino, e dall’alto, il Duomo racconta tutta un’altra storia.



La prima cosa che colpisce è lo stile gotico, così diverso da quello di molte altre cattedrali italiane. Qui lo slancio verso l’alto è continuo: guglie, pinnacoli, statue che sembrano voler bucare il cielo. Non è un gotico “scuro”, ma luminoso, scolpito nel marmo rosa di Candoglia, che cambia colore con la luce del giorno. È come se l’architettura stessa fosse un esercizio di pazienza e fiducia: ogni elemento nasce per stare in equilibrio con gli altri.

La seconda scoperta riguarda proprio le terrazze. Camminare sopra il Duomo significa muoversi dentro un’architettura viva, fatta di corridoi, archi rampanti, scale improvvise. Da qui si vedono le statue da una distanza inedita: non più lontane e solenni, ma vicine, quasi compagne di viaggio. Ognuna diversa, ognuna con una postura, un’espressione, una storia silenziosa.

 

È un’esperienza che invita naturalmente a fare domande:

come si costruisce qualcosa che dura secoli?
quanto lavoro invisibile c’è dietro a tanta bellezza?

Non serve spiegare tutto. A volte basta fermarsi, alzare lo sguardo, lasciare che siano le pietre a parlare. Le terrazze del Duomo non sono solo un punto panoramico: sono un luogo dove il tempo rallenta e l’attenzione si affina.

Porto via la sensazione di aver attraversato Milano da un’altra prospettiva. E la conferma che anche i luoghi più familiari, se osservati con calma, sanno ancora stupire.