Quest’anno la caccia alle uova aveva un’aria diversa.
Non solo per le uova nascoste, che puntualmente il Bianconiglio riesce sempre a infilare nei posti più improbabili, ma per quella sensazione sottile di spazio, di respiro, di libertà che si è infilata tra gli alberi e non se n’è più andata.
Un parco che sembra non finire mai, il verde che esplode dopo l’inverno, le corse senza una meta precisa. Amici che si ritrovano, pattini che scorrono sull’asfalto, risate che arrivano prima ancora delle parole. C’è qualcosa di molto semplice e potentissimo in queste giornate.
La caccia alle uova diventa quasi un pretesto. Un gioco che apre la porta a tutto il resto: collaborare, osservare, aspettare il proprio turno, perdersi un attimo e poi ritrovarsi. Ognuno con il proprio ritmo, ognuno con il proprio modo di stare nel mondo.
A guardarli da lontano, sparsi tra alberi, rampe, prati e sentieri, viene davvero da pensare che il mondo stia tutto lì, in quello spazio condiviso. Mani sporche di terra, ginocchia sbucciate, occhi accesi. Niente di costruito, niente di forzato. Solo presenza.
Forse è questo che resta più impresso: la naturalezza. Il modo in cui il gioco si intreccia con la scoperta, l’amicizia con il movimento, la festa con la semplicità. Una caccia alle uova che non è solo una tradizione, ma un piccolo rito collettivo che si rinnova, anno dopo anno, senza bisogno di grandi effetti.
E mentre il Bianconiglio scompare di nuovo tra i rami, resta quella sensazione rara e preziosa: per qualche ora, il mondo era davvero tra le mani.
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