lunedì 17 novembre 2025

il “Processo a Cappuccetto Rosso”

 

 

La prossima settimana vivremo una delle nostre lezioni più originali e stimolanti: una mamma homeschooler, avvocato, guiderà i ragazzi in un laboratorio speciale dove Cappuccetto Rosso diventerà… imputata, testimone, e protagonista di un vero processo!


Prima ci sarà una piccola recita con i ruoli della storia, poi il tribunale si aprirà e ogni bambino avrà il compito di osservare, ragionare, argomentare.

Un modo pratico, giocoso e profondamente educativo per avvicinarli al diritto, al pensiero critico e all’educazione civica.

E nel frattempo?
Noi stiamo leggendo la favola.
Sì, proprio quella che tutti conoscono… tranne Nicolas!
Lui ne ha sempre incontrati solo pezzi, adattamenti, citazioni sparse.
E questo non è un caso.

Io non ho mai amato le favole classiche nella loro versione “edulcorata” e standardizzata. Preferisco evitarle finché non arriva un’età in cui si possono affrontare insieme anche le versioni originali, con tutte le loro ombre, simboli e stratificazioni.
Le leggere in un contesto più maturo, consapevole, critico… sarà un altro viaggio, quando sarà il momento giusto.


Ma oggi le usiamo come strumento.

Non per trasmettere una morale preconfezionata, ma per aprire domande.
Per cambiare prospettiva. Per capire che ogni storia può essere vista da più punti di vista. Che la giustizia non è mai semplice.
Che la realtà, proprio come le fiabe nelle loro varie versioni, è fatta di interpretazioni, di responsabilità, di conseguenze.

E soprattutto, che l’apprendimento può essere vivo, sorprendente, creativo.
Può passare da un bosco, da un lupo, da una bambina con un cestino… e arrivare al cuore del diritto, dell’empatia.

Trasformiamo ogni occasione in un allargamento di sguardi.
Una fiaba diventa un processo. Un processo diventa una lezione sulla vita. Una lezione diventa un ricordo che rimane.

venerdì 31 ottobre 2025

Halloween... tra ombre, risate e immaginazione

 

Quest’anno Halloween ha cambiato forma.
Niente feste fuori casa, niente corse da un luogo all’altro: l’influenza ha rallentato tutto e ha chiesto una pausa forzata. Ma non ha spento la voglia di giocare, trasformare, immaginare.

Così la casa si è riempita lo stesso di pipistrelli alle pareti, luci soffuse, piccoli dettagli neri e arancioni. I travestimenti non sono rimasti nell’armadio: sono usciti, hanno preso spazio, hanno acceso risate e fotografie un po’ teatrali. Anche restando fermi, si può muovere molto.

Halloween ha questo potere sottile: permette di esplorare il “diverso” in modo leggero. Ci si maschera, si diventa altro per qualche ora, si gioca con ciò che normalmente fa un po’ paura… ma senza esserne travolti. È una festa che allena l’immaginazione e, allo stesso tempo, il coraggio. Quello di guardare il buio sapendo che è solo un gioco.

Qualche curiosità che adoro di questa festa, oltre alle origini che avevamo già approfondito:

  • in molte culture moderne Halloween è diventato un momento per ridere delle paure, renderle più piccole, più gestibili

  • travestirsi non è solo “fingersi altro”, ma sperimentare ruoli, emozioni, posture diverse

  • il confine tra spavento e divertimento è sottilissimo: imparare a starci sopra è un esercizio prezioso

Alla fine non conta dove si festeggia, ma come.
Se c’è spazio per creare, inventare, stare insieme e ridere, allora la festa succede comunque. Anche tra quattro mura. Anche più piano. Anche così.

Un Halloween diverso, ma non meno vivo.

sabato 11 ottobre 2025

Il Tempo che da sapore alle cose. Acetaia Giusti a Modena

 

Entrare in un’acetaia è come abbassare la voce senza che nessuno lo chieda.
L’aria è densa, profuma di legno, di mosto, di attesa. Non è un luogo che corre: qui tutto invita a rallentare.

La visita all’acetaia tradizionale di Modena è stata una di quelle esperienze che si infilano sotto la pelle piano piano. Non tanto per la quantità di informazioni, quanto per il modo in cui il tempo viene raccontato. Un tempo diverso da quello a cui siamo abituati: lungo, paziente, stratificato.


L’aceto balsamico tradizionale nasce da un processo semplice solo in apparenza. Il mosto cotto viene trasferito in una serie di piccole botti, cinque, sette, a volte qualcuna in più, ciascuna fatta di un legno diverso: rovere, castagno, ciliegio, ginepro. Ogni essenza lascia la sua impronta, come una voce che si aggiunge al coro.

Anno dopo anno, il liquido viene travasato da una botte all’altra, sempre un po’ più piccola. E le botti non vengono mai pulite. Non per dimenticanza, ma per scelta. Quel residuo che resta dopo ogni prelievo continua a vivere, a “mantecare” con il nuovo ingresso.
Così l’aceto non ha solo l’età di chi lo produce, ma quella della botte stessa. A volte decenni. A volte generazioni.



Scoprire che, per tradizione, molte famiglie modenesi custodiscono la propria acetaia in soffitta ha aperto uno squarcio bellissimo su un modo di vivere il sapere. Non serve tanto spazio. Serve costanza. Serve fiducia nel tempo. Serve accettare che il risultato non sia immediato, e che forse non sarà nemmeno per noi.

Camminando tra le file di botti, osservando i gesti lenti, ascoltando storie che intrecciano famiglia, territorio e stagioni, è emerso qualcosa che va oltre l’aceto.

Qui il tempo non è un ostacolo da aggirare, ma una parte attiva del processo. Fa il suo lavoro in silenzio, mentre la vita va avanti.

Portarsi a casa questa esperienza non significa ricordare ogni passaggio tecnico, ma trattenere un’idea: alcune cose maturano solo se lasciate in pace.
E non tutto deve essere accelerato per avere valore.

Un appunto sul diario, oggi, parla di botti, soffitte e attese.
E di come certe tradizioni riescano ancora a insegnare senza mai alzare la voce.



venerdì 26 settembre 2025

Il Legno racconta...


Il legno ha un odore che non ha bisogno di spiegazioni.

Appena entrati al Museo del Legno di Corbetta, quella sensazione arriva prima delle parole: materia viva, segni del tempo, mani che hanno lavorato prima di noi.

Travi, utensili, ceppi, macchine antiche. Ogni oggetto racconta una storia fatta di gesti ripetuti, pazienza, forza misurata. Qui il passato non è fermo: è leggibile, toccabile, quasi dialoga.

Camminare tra questi spazi è stato come rallentare il passo tutti insieme. Osservare, ascoltare, fare domande. Capire che il legno non è solo un materiale, ma un archivio di radici, di tradizioni, di saperi tramandati senza fretta.

Anche la sega, quella che si usava un tempo, aveva il suo fascino.


E poi il gioco.

Giochi antichi, essenziali, senza istruzioni lunghe né schermi. Regole semplici, mani che provano, risate che nascono spontanee. Il tipo di gioco che mette in relazione, che allena l’attenzione e la presenza senza nemmeno dichiararlo.


È così che l’anno è ripartito dopo l’estate.

giovedì 7 agosto 2025

Volterra AD 1398: camminare dentro un’altra epoca

 


In Toscana ci sono appuntamenti che diventano rituali silenziosi.

Non si programmano davvero: si sanno. E si aspettano.

Durante le vacanze, una tappa che non manca mai è Volterra e la sua rievocazione storica. Per due domeniche di agosto la città cambia pelle: le pietre raccontano, le strade si riempiono di voci antiche, e il tempo sembra rallentare abbastanza da farsi attraversare a piedi.


Volterra AD 1398 non è solo una festa. È un’esperienza immersiva, viva, fatta di dettagli che catturano lo sguardo e restano addosso. Abiti, musiche, profumi, gesti ripetuti come se non fossero mai stati interrotti. Cavalieri, nobili, artigiani, mercanti, falconieri, giullari: ognuno al proprio posto, come in un grande affresco che prende movimento.

Camminare tra le bancarelle del mercato medievale, osservare i laboratori, fermarsi ad ascoltare un liuto o il suono dei tamburi è un modo semplice e potente per entrare nella storia senza bisogno di spiegazioni. Qui non si “assiste”: si partecipa. Anche solo guardando.

Il Parco di Castello, sotto la Fortezza Medicea, aggiunge a tutto questo una dimensione quasi sospesa. Tra alberi e radure si intrecciano spettacoli, falconeria, momenti di quiete e improvvisi richiami di folla. Ogni angolo offre qualcosa da osservare, da toccare, da ricordare.

Ciò che rende questa rievocazione sempre speciale è la cura. La sensazione che nulla sia lasciato al caso. Che ogni gesto, ogni costume, ogni bandiera porti con sé rispetto per il tempo che rappresenta. E forse è proprio questo che resta più a lungo: l’idea che la storia non sia solo da studiare, ma anche da attraversare con il corpo, con gli occhi, con l’emozione.

Tornare qui ogni anno è come aprire una porta già conosciuta e trovare, puntualmente, qualcosa di nuovo.
Un dettaglio mai notato prima.
Un suono che resta in testa.
Un’immagine che diventa memoria.

Sempre magico. E ogni volta un po’ diverso.



mercoledì 11 giugno 2025

Un cartellone che racconta un anno intero


Arriva anche questo momento, quello in cui il lavoro fatto lentamente prende forma tutta insieme.

Per l’esame di fine anno, il percorso di storia è diventato un grande cartellone: non una sequenza di date, ma un racconto fatto di mani, materiali, tentativi e scelte.

Durante l’anno, ogni civiltà incontrata ha lasciato una traccia concreta.
Lo studio storico si è intrecciato con l’arte in modo naturale: mentre si scopriva un popolo, in parallelo si entrava nel suo immaginario artistico, nelle tecniche, nei simboli. E ogni volta si decideva cosa creare, cosa far nascere da quel passaggio.

Così la storia non è rimasta solo nei libri.
È passata attraverso l’argilla, la carta, il colore, gli oggetti costruiti uno alla volta. Manufatti diversi, come diverse erano le civiltà, ma tenuti insieme da un filo continuo: l’esperienza.

Il cartellone finale non è una sintesi perfetta, né un prodotto “da esposizione”.
È piuttosto una mappa del percorso fatto: un modo per guardare indietro e riconoscere quanto strada c’è stata, anche nei passaggi più silenziosi.

In quel grande foglio c’è un anno intero che si ricompone.
E, forse, anche la conferma che imparare può essere un gesto vivo, che prende tempo, spazio e forma,  senza fretta di arrivare, ma con attenzione a ciò che succede mentre si cammina.

giovedì 5 giugno 2025

Un’idea che prende forma, e poi prende il volo

 


Non è una storia di risultati, ma di passaggi.

Di idee buttate sul tavolo, di tentativi, di tempo condiviso.

Un’idea nata attorno a un tavolo, fogli sparsi, libri aperti sull’astronomia, domande che si intrecciano. Un tempo fatto di immaginazione, tentativi, aggiustamenti, mani che costruiscono e menti che collegano. Nessuna fretta di “fare bene”, solo il desiderio di dare forma a qualcosa che avesse senso.


Il concorso proposto dall’INAF invitava a osservare il cielo e trasformare emozioni, conoscenze e curiosità in un’opera: disegni, modelli tridimensionali, esplorazioni creative ispirate allo spazio. Un invito aperto, più che una gara.

E così è stato vissuto.

Il progetto ha preso corpo poco alla volta: pianeti, costellazioni, missioni immaginate, regole inventate, collegamenti tra scienza e fantasia. Un gioco serio, di quelli che richiedono attenzione, ascolto reciproco, capacità di scegliere insieme. Anche questo è apprendimento, anche se non sempre lo si chiama così.








La giornata della premiazione è arrivata quasi in punta di piedi. Seduti in sala, emozione trattenuta, sguardi curiosi. Poi l’annuncio. Il primo premio.

Una gioia composta, autentica, che non ha bisogno di essere amplificata.


Più del riconoscimento, resta la bellezza del processo: il pensare insieme, il confrontarsi, il costruire qualcosa che prima non c’era. La possibilità di sentire che le idee hanno spazio, che la creatività può dialogare con il sapere scientifico, che l’immaginazione non è un lusso ma una competenza viva.

Un esperienza davvero unica.


Un giorno speciale, sì.

Ma soprattutto un giorno che racconta quanto lontano può arrivare un’idea, quando trova il tempo di crescere.



martedì 27 maggio 2025

Corpi in scena, emozioni in ascolto

 

L’anno accademico sta arrivando alla sua fine.
Non perché tutto si fermi davvero, qui il tempo non si misura a mesi o a pause, ma perché alcune esperienze seguono un ritmo preciso, e oggi quel ritmo chiede di rallentare e guardare indietro.

Le lezioni di teatro si sono concluse così: con una piccola restituzione, semplice e autentica. Un frammento di ciò che è stato seminato durante l’anno.
Movimenti, esercizi, giochi di ascolto, presenza. Nulla di costruito per “fare scena”, tutto pensato per stare insieme, per abitare lo spazio, per trovare il proprio posto accanto agli altri.


L’insegnante ha accompagnato questo percorso con una qualità rara: accoglienza vera, gentilezza ferma, attenzione costante. Una guida che sa tenere il gruppo senza mai schiacciarlo. E questo si vede. Si sente. Rimane.

Durante la rappresentazione non c’era l’idea di una performance, ma quella di un racconto condiviso. Ognuno portava qualcosa: un gesto, una voce, un’esitazione, un sorriso improvviso. Ed era tutto giusto così.


Il teatro ha questo potere silenzioso: insegna senza dichiararlo.

Allena l’ascolto, la fiducia, la capacità di stare dentro un errore senza scappare. Chiede presenza, chiede coraggio, ma lo fa con leggerezza.

Vedere questo percorso arrivare a una sua naturale conclusione è stato emozionante. Non per il risultato, ma per il cammino. Per quello che è cresciuto senza fare rumore.




sabato 17 maggio 2025

Ci vuole orecchio e... tempo per ascoltare

L'arte si può ascoltare?

Alla Galleria d’Italia l’incontro si intitolava “Ci vuole orecchio” e già dal nome prometteva qualcosa di diverso. Non una visita tradizionale, ma una piccola caccia al tesoro fatta di suoni: rumori, musiche, frammenti sonori da riconoscere e collegare alle opere.


Prima ancora dello sguardo, veniva chiamato l’ascolto. Quello attento, lento, curioso.

È sorprendente vedere come il silenzio cambi qualità quando si è davvero in ascolto. I corpi si fermano, le orecchie si tendono, le immagini arrivano dopo, quasi come una conseguenza naturale. Riconoscere un’opera non perché “la si sa”, ma perché qualcosa ha vibrato prima dentro.


Il laboratorio è stato un altro passaggio delicato e potente: musica che scorre, emozioni che emergono, mani che cercano un segno. Un disegno sonoro, fatto di gesti grafici più che di forme corrette. Linee che seguono il ritmo, colori che nascono da una sensazione, non da un’istruzione.


In questi spazi succede una cosa preziosa: si scopre che l’arte non chiede risposte giuste, ma presenza. Che ascoltare è un atto creativo. Che il corpo intero può diventare strumento, orecchio, mano, respiro.

Si esce con meno parole e più risonanze addosso.
E con la sensazione che, ogni tanto, educare lo sguardo passi prima dal saper ascoltare.




giovedì 15 maggio 2025

In equilibrio tra alberi e cielo

 

Il bosco aveva quel silenzio vivo che ti accompagna senza distrarti. Imbraghi, moschettoni, corde tese tra un tronco e l’altro. Un parco avventura non nasce con l’etichetta di “didattico”, eppure diventa uno spazio in cui il corpo pensa, misura, decide.

C’è un momento preciso, lassù, in cui i piedi cercano l’appoggio e le mani stringono forte. Non è solo gioco: è attenzione, è coordinazione, è ascolto di sé. Ogni passaggio richiede presenza. Ogni passo avanti nasce da un piccolo atto di fiducia.


Il coraggio non fa rumore. Arriva piano, spesso dopo un’esitazione. Si costruisce restando, provando, respirando. E la resistenza non è solo fisica: è stare dentro la fatica senza scappare, accettare di rallentare, riprovare.

In queste giornate all’aria aperta si impara anche così: con il corpo che sperimenta, con l’errore che diventa aggiustamento, con la concentrazione che cresce senza essere chiamata per nome. Nessuna lezione dichiarata, nessun obiettivo da raggiungere. Solo l’esperienza che fa il suo lavoro.

Si torna a casa stanchi e leggeri allo stesso tempo. Con la sensazione che, anche nel puro divertimento, qualcosa abbia messo radici. E forse è proprio questo il bello: scoprire che imparare non ha sempre bisogno di essere programmato. A volte basta un ponte sospeso tra due alberi.