La Sardegna ci ha accolti con quel suo modo gentile ma deciso, come se volesse dire: “Prenditi il tempo di guardare davvero”.
E così abbiamo fatto.
Il mare, prima di tutto. Quell’azzurro che non sai se è acqua o cielo, e quelle rocce lisce, consumate dal vento e dal tempo, che sembrano avere storie da raccontare. Nicolas ci saltava sopra, come se fossero isole in mezzo all’immaginazione. E a pensarci bene, un po’ lo erano.
Poi, una sorpresa che non dimenticheremo: un sentiero che profumava di terra e vento caldo, e all’improvviso gli alberi. Ma non alberi qualunque: sughere. Storte, nodose, con la corteccia incisa, quasi ferita, ma viva.
Gli ho spiegato che da quella corteccia si ricava il sughero, lo stesso materiale dei tappi delle bottiglie e delle bacheche. Che la pianta non muore quando lo si toglie, anzi: si rigenera, lentamente, in silenzio.
E lui ha osservato quei tronchi color ruggine e ha detto: “Sembrano vestiti a metà”.
E sì, in effetti.
Tra strade rosse di polvere, pietre antiche e macchia profumata, abbiamo incontrato anche le Tombe dei Giganti. Chiamate così perché la leggenda vuole che qui dormissero creature enormi e sagge. In realtà erano tombe collettive nuragiche, ma in quel momento, davanti a quelle pietre alte e misteriose, la leggenda sembrava la versione più giusta.
E poi lei, la vera padrona di casa: una tartaruga lenta e placida che ha attraversato il sentiero come se non avesse fretta. Nicolas l’ha seguita per qualche metro, ridendo piano.
E mi è sembrato che quell’incontro dicesse molto della Sardegna: forte, antica, senza fretta.
Alla fine, tra sabbia dorata, antiche pietre e tronchi vestiti a metà, questo viaggio ci ha regalato la cosa più semplice e preziosa: il tempo per osservare, respirare lentamente e godersi la gioia di stare insieme.
E a volte, è proprio da lì che comincia tutto.
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