Ci sono luoghi che chiedono pazienza prima ancora di farsi vedere. L’attesa, la prenotazione fatta con largo anticipo, il giorno che finalmente arriva. E poi si entra.
Il Cenacolo non è solo una visita: è una soglia.
Varcata quella porta, il rumore resta fuori. Anche i pensieri rallentano. Lo spazio sembra più denso, come se l’aria custodisse qualcosa che non ha fretta di essere spiegato. L’Ultima Cena è lì, ma non “da guardare”. È da attraversare con lo sguardo, con il corpo fermo e l’attenzione aperta.
La cosa più potente, forse, è proprio questa: non serve conoscere tutto, né capire ogni dettaglio. Basta restare. Lasciare che l’opera lavori in silenzio, che apra domande invece di dare risposte. È un incontro che non si consuma in pochi minuti, ma continua anche dopo, mentre si esce e la luce di Milano riaccoglie.
Un anno davvero ricco e intenso, fatto di passi, di luoghi, di attese che hanno avuto senso. Il Cenacolo è stato uno di quei momenti che non si aggiungono semplicemente al bagaglio, ma lo trasformano un po’.
E forse è questo il filo che lega tutte queste esperienze: non accumulare, ma lasciarsi toccare.