Quando mi hanno proposto una giornata in canoa, ho pensato subito a un’avventura per mio figlio. Una di quelle esperienze nuove, un po’ sportive, un po’ esplorative, perfette per nutrire la curiosità dei bambini e dei ragazzi.
Non immaginavo, invece, quanto avrebbe nutrito anche me.
La mattina era luminosa, l’aria ancora fresca. L' entusiasmo si leggeva negli occhi di tutti: quel tipo di felicità che nasce quando senti che sta per succedere qualcosa di importante, anche se non sai ancora cosa.
L’acqua era calma. Così calma da sembrare uno specchio.
E quando la canoa ha iniziato a scivolare leggera, silenziosa, ho sentito subito che non era un semplice “andare”. Era un entrare. Un entrare dentro un ritmo diverso, più lento, più vero.
Il rumore dolce del remo che tocca l’acqua, gli spruzzi piccoli che ritornano indietro, il fluire senza fretta… tutto sembrava sussurrare: fidati, lasciati guidare.
Mio figlio remava con impegno e meraviglia, osservando come un gesto così semplice potesse muovere un’intera barca. Ogni pagaia era una scoperta, ogni piccola curva sulla superficie del lago un segno lasciato, una traccia.
A me, invece, faceva scoprire quanto, spesso, siamo noi ad avere bisogno di imparare. A rallentare. A stare. A sentirci portati.
Il lago, in quel silenzio pieno, non era solo acqua. Era uno spazio sicuro, sospeso, in cui ascoltare.
Ogni cosa sembrava più nitida: i riflessi, i pensieri, perfino il tempo.
E ho pensato che forse educare, ed educarci, somiglia un po’ al remare: non si tratta di spingere forte per arrivare lontano, ma di trovare il proprio ritmo. Di imparare a stare in equilibrio. Di lasciarsi trasportare, quando serve.
Quando siamo tornati a riva, lui aveva le guance rosse, le mani un po’ bagnate e un sorriso che parlava da sé.
Io avevo il cuore pieno. Di cielo, di acqua, di quiete.
E la sorpresa più grande non è stata scoprire quanto fosse bello fare canoa.
Ma quanto, nel silenzio di un lago, si possa navigare anche dentro di sé.
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